Per comprendere il complesso mondo dei mobili tibetani e dei loro vivaci decori è utile accennare ai diversi stili di vita del suo popolo. A titolo semplificativo, gli storici considerano i tibetani una popolazione semi-nomade, ma nella realtà dei fatti in Tibet vi sono sia comunità nomadi che stanziali, sia in ambiente laico che monastico.
I nomadi tibetani sono raggruppati in comunità pastorizie che si spostano seguendo le esigenze dei loro Yak e delle loro pecore. Gli spostamenti di questi gruppi sono stagionali, in base al clima ed alla disponibilità di foraggio per il bestiame, ed i loro accampamenti sono costituiti da grandi tende scure, fatte con lana di yak.
In alcuni casi i percorsi di questi gruppi sono sempre gli stessi e i periodi di permanenza nello stesso luogo piuttosto lunghi, per cui – dove possibile – si preferiva costruire case in muratura al posto delle tende. La ricchezza e prosperità di questi gruppi nomadi varia molto da regione a regione, alcune comunità sono molto povere e vivono esclusivamente di ciò che riescono a produrre.
Altre, concentrate soprattutto nella parte orientale del Plateau, si sono arricchite grazie al commercio di bestiame. A prescindere dalle possibilità economiche di ogni singolo gruppo, i nomadi sono molto selettivi in merito alle cose da tenere con loro, e la portabilità dei loro oggetti d’uso quotidiano è uno dei parametri discriminanti di questa selezione.
All’interno della tenda, la maggior parte delle attività quotidiane si svolgono a terra, su un pavimento in terra battuta ricoperto con stuoie e tappeti. Gli arredi si limitano ai bauli in pelle e a qualche tavolino pieghevole (Tepchok): i primi sono utilizzati per il trasporto di vestiario e oggetti d’uso, i secondi per bere e mangiare.
La vita nomade ha influenzato il design dei mobili tibetani sin dai tempi antichi, e a causa del fatto che questi oggetti erano continuamente sottoposti ad usura dovuta ai lunghi viaggi sul dorso degli yak, pochi esemplari sono giunti fino a noi.
Gli arredi destinati alle popolazioni stanziali, e soprattutto gli arredi monastici hanno – in molti casi – goduto di un destino migliore. Arredi come le casse monastiche e le librerie tibetane erano destinati alla conservazione di oggetti preziosi e quindi venivano trattati con la stessa cura dedicata al loro contenuto. Altri splendidi oggetti, quali le ruote da preghiera, i pannelli decorativi e gli altari per le offerte, essendo destinati ad un uso specifico, furono prodotti in quantità più limitata e solo pochi esemplari antichi si sono conservati fino ai nostri giorni.
Vista la scarsa disponibilità di legni duri in Tibet, i mobili sono generalmente realizzati con legno dolce, soprattutto conifere provenienti dalle foreste del Sud Est, vicino al confine con il Nepal. Tali tipologie di legno non sopportano bene il tempo e se sottoposti alle sollecitazioni dovute al clima rigido ed ai lunghi spostamenti legati al dorso degli yak, tendono a rovinarsi e rompersi in fretta. Per questo motivo, i mobili tibetani antichi giunti sino a noi risalgono generalmente a non prima del XVIII Secolo. Esemplari più antichi sono estremamente rari e, escludendo alcuni preziosi altari monastici, era comune in Tibet riparare gli arredi sostituendo con disinvoltura le parti danneggiate con assi lignee di nuova fattura, o talvolta con parti “cannibalizzate” da altri mobili.